Anobii non accetta libri autopubblicati

Mi arriva un mail, qualche giorno fa, da parte di una certa Elisa, che con estrema cordialità mi avvisa di aver fatto richiesta di creazione della scheda di I book blog. Editoria e lavoro culturale su Anobii. Io, preso tra mille altre cose, non ci avevo pensato e, confesso, sono da tempo più affezionato alle funzionalità di Goodreads (su cui io stesso ho caricato la scheda del mio pamphlet). Entusiasta, ringrazio Elisa per la sua sollecitudine.

Mi riscrive la stessa poco dopo e m’informa che la richiesta è stata rifiutata con una motivazione quanto mai discutibile, e mi riporta la risposta del team di Anobii:

“Non è possibile accettare un ebook autoprodotto, non edito, non dotato di codice ISBN o nel formato Amazon/Kindle”.

Boom!

Elisa, donna pignola e lettrice appassionata, chiede spiegazioni alla librarian che ha gestito la pratica. Ed ottiene una risposta che più chiara non si può:

Naturalmente la povera librarian non ha alcuna colpa di questa scelta aziendale, e lo dice chiaramente (anche se quel “non posso far altro che applicare la regola” suona sinistramente come “sto solo eseguendo gli ordini”…). E probabilmente – anzi, sicuramente – ha ragione quando dice che Anobii non morirà certo per la mancanza della scheda del mio ebook e che la cultura non risentirà.

Ma qui la questione va ben al di là della vicenda del mio piccolo pamphlet (di cui si può fare certo a meno). La stessa Elisa l’affronta in un post molto critico sul suo blog, in cui osserva una verità che ormai dovrebbe esser lapalissiana e invece così non è: libro non è solo il formato, ma principalmente il contenuto. Eppure non credo che tale questione, per quanto importante, sia il focus della vicenda. Credo piuttosto che gli elementi centrali siano due: il fatto che Anobii, posseduto dalla catena inglese di supermercati Sainsbury, non accetti i libri del concorrente Amazon; e che esista un anacronistico pregiudizio contro l’autopubblicazione.

Amazon fa paura, a maggior ragione da quando ha comprato l’altro grande social network libresco, Goodreads. E Amazon, lo sappiamo, è il primo fornitore di servizi di self-publishing attraverso la sua piattaforma Kindle Direct Publishing. Tutti provano ad arginarne il dominio sempre più espansivo e questo è comprensibile e direi anche condivisibile: ma a che prezzo? Se, mettiamo, la scheda che Elisa ha chiesto di creare non avesse riguardato un autore semi-sconosciuto come me, ma uno scrittore famoso, uno che avesse deciso di testare la strada dell’autopubblicazione, ci sarebbe stato o no un danno alla cultura? Sarebbe stato legittimo privare i lettori di Anobii – comunità appassionatissima e agguerrita – della possibilità di scrivere recensioni sul titolo autopubblicato di un grande autore solo perché questi si è autopubblicato?

Lo stigma del self-publishing è ancora duro a morire, sembra. E dico sembra perché di fronte a quello che tutti gli esperti sostengono essere il fenomeno che caratterizzerà il 2013 dell’industria editoriale, parrebbe folle, del tutto autolesionista, stare fuori da questa partita, così come sta facendo Anobii, che, ricordo, è a tutti gli effetti un negozio di ebook (il sempre ottimo Jumpinshark ne fa una dettagliata analisi qui).

Da tempo scrivo che il self-publishing è ben più di quello che la vulgata prevalente vorrebbe far credere: credo sia una pratica in cui ci si mette in gioco, si acquisiscono competenze nuove, si entra in contatto con altri professionisti, e talvolta – non sempre, talvolta – si rende pubblico un testo che non ha nulla da invidiare a titoli che hanno in copertina un marchio editoriale (o peggio ancora il marchio di un editore a pagamento). E, soprattutto, non è opposto all’editoria tradizionale, ma la integra e completa. Io la penso, così, Anobii, evidentemente, no.