Qualche aggiornamento su “I book blog. Editoria e lavoro culturale”

Non tardano ad arrivare le prime reazioni al mio pamphlet “I book blog. editoria e lavoro culturale“. Qualche (non troppo breve) aggiornamento.

In primo luogo c’è una specie di rassegna stampa, per chi voglia consultarla. Cerco di tenerla aggiornata, ma magari qualcosa mi sfugge. Se avete scritto del mio ebook e non vedete lì il link, segnalatemelo per favore e rimedierò.

Comincio ringraziando tutti quelli che lo hanno acquistato e ne hanno consigliato l’acquisto, ricordando che tutti i ricavati andranno all’Associazione Tumori Toscana. Le vendite vanno molto bene, ho superato in pochi giorni quello che consideravo il punto di pareggio e vedo che le copie acquistate quotidianamente rimangono costanti. Ringrazio i media che ne hanno finora parlato: Repubblica, Radio 3, Panorama. Ringrazio le molte persone che mi hanno scritto privatamente. E ringrazio chi lo ha elogiato, e sono tanti. Ringrazio anche chi lo ha criticato: le critiche, quando ben argomentate, sono utilissime.

Poiché le discussioni on-line rubano molto tempo, e tutti noi ne abbiamo poco, segnalo che domenica 19 maggio alle 12.30 presso la sala Book to the Future del Salone del Libro di Torino presenterò l’ebook e ne discuterò con Christian Raimo(minima&moralia), Francesco Forlani (Nazione Indiana), Giancluca Liguori (Scrittori Precari) e Marco Giacomello (KindleItalia). Chi vuole venire a tirarmi i pomodori può farlo lì. Ci sarà, come sempre accade, da bere. Chi invece è interessato al dibattito, si metta comodo e continui a leggere.

(Se venite a Torino o se pubblicate una recensione, una piccola cosa, però, vi chiedo: se volete parlare del libro, leggetelo prima. Ho visto che in rete sono partite discussioni anche molto lunghe tra persone che non avevano letto il mio testo, e come si dice dalle mie parti mi sono ritrovato in una discoteca di schiaffi senza nemmeno sapere chi era il deejay. Credo che il livello minimo di decenza di una discussione sia sapere di cosa si sta parlando.

E anche un’altra cosa chiedo: attenetevi al testo. Non a quello che avete sperato di leggere, ma a quello che c’è realmente scritto nell’ebook. Avevo messo in conto che alcune delle critiche che sarebbero arrivate si sarebbero basate su aspettative frustrate, e infatti è capitato di esser stato criticato non per quello che ho scritto ma per quello che, secondo alcuni, avrei dovuto scrivere. A costoro dico: se pensate che non abbia scritto quello che volevate voi, allora scrivetevelo da soli un libro, sarete decisamente più contenti. E anche io lo sarò).

Dicevo che le critiche ben argomentate sono utili: mi è stato fatto notare per esempio, che nel parlare dei rapporti tra editori e book blog la mia scrittura risulta ambigua. In una discussione su Twitter un po’ animata, per esempio, Bluewillow, l’animatrice del blog “L’angolo di Jane” mi accusa di parlare di corruzione. Eppure il termine corruzione non appare una sola volta in tutto il mio testo. Mi sono chiesto, allora, cosa deve aver prodotto questa percezione, e mi sono dato una duplice risposta. Da un lato, c’è spesso, quando si legge un qualsiasi testo, una tendenza a favorire la propria interpretazione del medesimo rispetto a quanto vi è effettivamente scritto. D’altra parte, per quanti sforzi abbia fatto, non è detto che io abbia trovato le parole migliori per esprimere quello che intendevo esprimere. Allora ringrazio Bluewillow per l’occasione di chiarimento che mi offre e ribadisco alcune cose già scritte altrove:

  • tutto ciò che è scritto nell’ebook è documentato e documentabile, ed è frutto della mia personale esperienza. Non c’è nulla che non sia stato vissuto in maniera diretta. Mi è stato chiesto perché non ho fatto nomi e cognomi: perché il mio pamphlet non è un j’accuse ma il tentativo di problematizzare, da una prospettiva eticamente connotata, alcune prassi in corso.
  • La questione dei blogger pagati: qui si è sviluppato un grosso equivoco (su Twitter e tra alcuni commentatori) e vorrei chiarire. Nel mio ebook non parlo, da nessuna parte, di blogger pagati per scrivere recensioni positive *sul proprio sito*, ma di blogger pagati per scrivere articoli per portali, siti aziendali o comunque siti apertamente commerciali, o per testate giornalistiche. Articoli, non recensioni, sono due cose diverse. Nella misura in cui questi articoli vengono pagati, tale pratica è ovviamente legittima, tuttavia io sostengo che sia ambigua (nonché, nel lungo periodo, controproducente per il blogger), perché il blogger non viene scelto per le sue capacità di scrittura ma per il fatto che ha un seguito di lettori, una credibilità e una “influence”, per usare un termine in voga.
  • Non a caso nell’ebook io uso una categoria analitica molto precisa, quella dell’antropologia del dono, che è una cosa in realtà molto semplice ma molto sottile allo stesso tempo. Cerco cioè di introdurre un elemento di complessità nell’analisi, e non di ridurla a un banale manifesto pseudo-rivoluzionario dei blogger “puri” contro le aziende “maligne”. Se si salta questo passaggio, quello dell’antropologia del dono, non si comprende nulla di tutto il libro. E non è un caso che una fashion blogger (un mondo dove le dinamiche che descrivo per l’industria editoriale sono arrivate molto prima e si sono anche ampiamente evolute) racconti con abbondanza di dettagli (e una chiarezza da invidiare) praticamente la stessa cosa: “Molti influencer però lo prendono come un gioco. Questo, devo dire, è una manna per le agenzie perché sono i migliori, i più sinceri, i più coinvolti, fanno solo le campagne che gli piacciono e il risultato è spesso buono. E sono gratis. Lavorano gratuitamente in un sistema che di ludico non ha niente“. Chapeau.
  • Come scrivevo già su Doppiozero, operare nel mondo della cultura senza considerarne i dispositivi (ciò che Giorgio Agamben definisce “un carico di regole, riti, e istituzioni che vengono imposti agli individui da un potere esterno, ma che vengono, per così dire, interiorizzati nei sistemi delle credenze e dei sentimenti”) e le logiche economiche, significa fare come lo struzzo e nascondere la testa. Quello che accade spesso, purtroppo, è che la politica dello struzzo viene giustificata da una coriacea macchina ideologica di cui gli stessi blogger sono al contempo vittime e fautori: “Io lo faccio per passione!” “Io recensisco solo i libri che mi piacciono!” “Io non faccio stroncature!” “Io faccio solo stroncature!” “Io sono solo un lettore!” “L’editoria non m’interessa!” “La cultura è più importante del mercato!”. Sono, queste e tante altre, espressioni di un armamentario ideologico dietro cui gli editori si nascondono senza tema di far scoprire l’ambiguità di certe loro pratiche (e, ribadisco, parlo di ambiguità, non certo di corruzione) e che configurano talvolta veri e propri casi di autosfruttamento. Fenomeno a cui, infatti, dedico un intero capitoletto.

Insomma, se il mio linguaggio è stato ambiguo é perché la materia trattata è ambigua. Avrei potuto tagliare la testa al toro, prendere una posizione chiara, netta, facilmente comprensibile. Ma ho preferito – con risultati forse non perfetti ma direi soddisfacenti – provare ad aggredire la complessità, sia da un punto di vista teorico che da un punto di vista pratico, nell’ultimo capitoletto.

E la prova che l’impianto generale della mia argomentazione non è poi così debole è arrivata proprio ieri. Un certo Antonio La Gala scrive questa stroncatura in punta di penna; non conoscendolo, faccio un rapido giro su Google e scopro che il signor La Gala è da circa sette mesi “E-commerce specialist” presso De Agostini Libri e in passato si è occupato di “ideazione e coordinamento di iniziative promozionali e della produzione di materiali marketing B2B e B2C – sia per il mondo on line, sia per quello fisico – per le case editrici Longanesi, Guanda, Corbaccio, TEA, Nord e per i progetti di marketing trasversali al gruppo [editoriale Mauri Spagnol, uno dei colossi dell’editoria italiana – n.d.r.]“. Insomma, uno che di editoria e mercato ne dovrebbe capire, stando al suo pubblico curriculum.

La Gala fa di tutto per sminuire il mio testo, dimostrando un pregiudizio di partenza difficilmente giustificabile. Sostiene per esempio che “manca una definizione dell’oggetto di studio“. E dire che c’è un intero capitoletto dal titolo “Quali blog?” che identifica con precisione l’oggetto di studio. Strano che Luigi Bernardi (scrittore, editore, saggista) su Doppiozero se ne sia accorto e La Gala no. Costui continua affermando che “è facile puntare il dito contro le ricerche dell’AIE” e che “eFFe si limita a una serie di enunciazioni supportate da qualche considerazione“. Vero: quelle stesse considerazioni che hanno spinto l’AIE, guarda caso, a chiedermi consigli su come meglio impostare la ricerca in visto del prossimo Salone di Torino in una lunga telefonata.

Non basta: riferendosi alla categoria dell’antropologia del dono La Gala sostiene che “questo modo di vedere è di una ingenuità pazzesca [con buona pace di Mauss e di tutta la tradizione antropologica] e molto prossima al complottismo“. Se non fosse triste e mesta, quest’accusa, farebbe ridere. Già vedo truppe cammellate di book blogger che gridano al GOMBLODDO! E allora mi tocca ribadire (non per La Gala, ma per gli altri lettori) che non c’è una sola affermazione nell’ebook che non sia documentata. Infine, dopo aver ribadito la mia “ingenuità e superficialità” (ma come? in apertura diceva “uno bravo come eFFe“?!?) La Gala se la prende pure con la scelta “non particolarmente riuscita” dell’autopubblicazione. Forse, a nove giorni dal lancio, è un po’ presto per dirlo, non trova Signor La Gala? Forse è un po’ “ingenuo e superficiale” da parte di un sedicente professionista del marketing editoriale emettere giudizi senza aver consultato i dati di vendita, non crede? Non abbia timore, fra meno di tre settimane pubblicherò tutto, così, cifre alla mano, potrà rendersi conto di persona.

Insomma, è evidente che devo aver toccato dei nervi scoperti, e di ciò mi compiaccio, se mi si consente un momento di vanità. Qualcosa deve esser scattato nel sistema nervoso di un sedicente professionista dell’editoria (e non solo in lui) se si è prodotto in una stroncatura così tristemente zeppa di contraddizioni.

Del resto, un pamphlet a questo serve: ad agitare le acque. Vedremo cos’altro succederà.