Il libro bene comune

Comincia oggi a Roma la fiera della piccola e media editoria Più libri più liberi e comincia con una notizia molto importante: Alfabeta 2 annuncia la pubblicazione di un manifesto firmato da settantaquattro editori indipendenti, che molto precisamente si autodefiniscono così:

[…] un gruppo di editori indipendenti, con dimensioni, cataloghi, fatturati, marchi, interessi diversi. Nessuno di noi fa parte di un gruppo editoriale. Nessuno di noi esercita sul mercato editoriale una posizione di monopolio, né all’interno della filiera distributiva né delle librerie. Nessuno di noi ha nella propria casa editrice partecipazioni societarie di soggetti che ri- vestono posizioni di monopolio. Nessuno di noi ha partecipa- zioni societarie di distributori o di catene librarie.

Il manifesto segna allo stesso tempo la nascita dell’Osservatorio degli editori indipendenti e formula una proposta, articolata in nove “strumenti”, che considera il libro come una risorsa non solo economica e materiale, ma come un vero e proprio ecosistema in cui abitano tutti coloro che con i libri hanno qualcosa a che fare:

[…] chi se lo legge in tram, chi lo colleziona come un maniaco, chi lo mette su uno scaffale come un pacco di merendine, chi lo espone come un gioiello, chi lo ruba, chi lo trasporta negli scatoloni, chi lo scrive, chi lo mette in un magazzino, chi lo traduce in un’altra lingua, chi lo studia, chi lo stampa, chi lo promuove, chi ce lo chiede gratis dalla galera, chi lo vende solo scontato, chi lo ricicla, chi lo recensisce, chi lo trasforma in una serie televisiva, chi ne fa uno slogan, chi lo usa come uno scudo, chi lo spolvera in una biblioteca. Usi diversi e tutti legittimi ma dove l’uno non vale l’altro, perché diverse sono le idee di mondo e di vita che sottendono.

Le premesse del manifesto – “dove siamo” – sono assolutamente condivisibili e hanno a che fare con la storia politica e culturale di questo paese negli ultimi venti anni, che ha di fatto espunto la cultura e la sua promozione dalla visione dominante di comunità nazionale. E da questa analisi, che incrocia storia ed economia di mercato, politica come immaginazione del futuro e cultura come attività eminentemente politica, derivano le conclusioni:

Se il libro è un ecosistema e non solo un mercato, denunciare e tentare di correggere ciò che produce squilibrio e impoverimento, non solo per gli editori, è un atto di civiltà, di ecologia dell’intelligenza sociale.

Il manifesto sarà distribuito a partire da oggi all’interno di Più libri più liberi. Chi non può andarci, lo può scaricare qui. Io ci andrò domani a vedere che aria tira e a parlare con aluni degli editori che lo hanno firmato.

Il libro bene comune: dopo averlo rapidamente letto, mi piace pensare che alcune delle suggestioni e delle proposte che scrivevo in maniera volutamente provocatoria nel Libretto Rosa di Finzioni e che presentavo proprio un anno fa alla stessa fiera romana – grazie all’invito di Giorgio Vasta – siano finalmente cominciate a filtrare nelle riflessioni degli editori. L’idea, per esempio, di sostituire all’immagine di “filiera editoriale” – un’immagine così meccanica, metallica – quella di ecosistema: più grande, più inclusiva, dove anche i lettori e soprattutto i lettori trovano posto, dove gli equilibri sono determinati dall’incontro e non dalla colonizzazione.

Il manifesto merita una lettura attenta e approfondita, perché solleva questioni cruciali per il futuro non solo dell’editoria italiana – che si trova a essere allo stesso tempo oggetto e veicolo di trasformazioni – ma delle stesse politiche culturali italiane. Mi riprometto di riparlarne con più calma dopo la fiera.