Un modello alternativo di pricing per ebook

Come dicevo qualche giorno fa, è partita deep: la collana di ebook su cultura, società e tecnologie che dirigo per :duepunti edizioni. Come viene spiegato anche sul loro sito, il prezzo di ciascun titolo è determinato secondo un criterio di trasparenza nei confronti del lettore e composto come se fosse un cocktail. Cito:

Questo significa che il lettore viene informato non solo di chi ha effettivamente partecipato al lavoro redazionale, ma anche di quale parte dei suoi soldi viene destinata a ciascuno. In concreto, per ciascun download di un libro deep:

  • l’autore incassa un euro;
  • l’editore incassa un euro;
  • il curatore incassa 50 centesimi;
  • il resto del prezzo serve a pagare distribuzione e transazione, e l’IVA è al 22%

La spiegazione mi sembra abbastanza chiara, tuttavia vorrei aggiungere qualche riflessione.

Premessa: mi trovo alla Fiera della piccola e media editoria Più libri più liberi a Roma, ospite dello stand (e della connessione wifi) :duepunti, e mi capita di parlare del progetto deep: con diverse persone, tra quelli che passano dallo stand ad alcune care vecchie conoscenze che incontro tra i corridoi del Palazzo dei Congressi. Ieri mi è capitato di parlare con alcuni marketers (gente che lavora negli uffici marketing, in questo caso di case editrici) che dimostravano una certa fatica a comprendere il modello di prezzo – anzi, di pricing! – di deep: e si producevano in una serie di espressioni facciali tra il dubbioso e lo schifato.

Ho pensato allora che per fargli capire come funziona tale modello, ma soprattutto il perché di tale scelta, avrei dovuto parlare il loro linguaggio, un gobbledygook aziendalese farcito di gerundi e termini anglosassoni. Cominciamo.

1) Value chain

Alla fine della catena del valore di deep: non c’è solo l’ebook. Quando il libro si smaterializza, la costruzione di valore muta: certo, c’è l’impaginazione (e qui i libri deep: sono innovativi grazie alla loro architettura testuale), la grafica delle copertine (il fondo nero, le diatomee), la qualità della scrittura (ma questa la valuta il lettore). In un ebook deep: c’è il valore aggiunto del lavoro svolto per produrlo: un lavoro collaborativo, in cui i confini tra i ruoli si sfumano e le competenze s’incrociano: l’autore diventa ufficio stampa, il curatore fa il video-maker, l’editore lo scenografo. Insomma, non si vende solo un ebook, si vende un’idea di lavoro culturale.

2) Storytelling

«Allora vendete una storia, cioè fate storytelling» mi dice un tipo. Sì, ma chiariamoci: non una storia, ma più storie; non storie nuove, ma storie antiche continuamente adattate ai tempi. La storia dell’uomo delle caverne che scopre la manualità e inventa l’artigianato. La storia di Davide contro Golia. La storia di Houdini che scappa dai lucchetti. La storia di un gruppo di operai che sognano il pane e le rose.

3) Community building

«Per un libro di 52.000 battute 4,27€ sono troppi comunque, siete fuori mercato». Quale mercato, chiedo io? Quello della narrativa seriale a 0,99€? Quello degli autori bestseller che programmano passaggi televisivi da Fazio? Quello degli indie publisher? Il mercato di riferimento dei titoli deep: è fatto da lettori attenti, esigenti, bisognosi di un orientamento autorale rispetto a certi temi e questioni che stanno all’incrocio tra cultura, società e tecnologie (e si badi al plurale!). Accettare di pagare 4,27€ per un buon libro, per retribuire in maniera equa il lavoro che c’è alle sue spalle e per permettere a chi svolge questo lavoro di fare altri buoni libri significa anche entrare a far parte di una comunità – non una setta, non un club esclusivo, anzi: una comunità aperta, orientata da valori come l’inclusione, la condivisione, la cura e soprattutto la profondità dello sguardo.

Concludendo. Ai lettori si chiede questo, di partecipare a un progetto, a un’idea che va al di là del singolo titolo. Di supportare un modello di lavoro culturale, non una firma più o meno famosa o un esordiente promettente. Ai lettori si chiede, in buona sostanza, di non considerare un libro digitale come un prodotto fine a se stesso, ma come espressione di un modo di pensare e fare cultura. Un modo, per l’appunto, profondo.