La libreria Edison, Firenze e un senso di fine del mondo

Ieri pomeriggio mi sono infilato nella bolgia che dalla mattinata era diventata la Libreria Edison di Firenze, una vecchia, grande e bella libreria nella centralissima Piazza della Repubblica. La sua vicenda è nota, ma la riassumo brevemente: la società Effe.com, controllata dal gruppo Feltrinelli, acquista l’immobile dov’è situata la libreria e la sfratta; i proprietari della Edison vanno in tribunale ma perdono e lo sfratto diventa esecutivo lo scorso 30 settembre. Palazzo Vecchio ci mette lo zampino e alla libreria viene permesso di rimanere aperta fino a Natale per svuotare gli scaffali; in quei locali, grazie all’attivismo del sindaco Renzi, aprirà un Apple Store.

Ieri mattina è partita la svendita: tutto con il 30% di sconto. La foto in basso mostra le code alle casse – anzi, solo una minima parte delle code:

Commentando l’affollamento su Facebook, Raoul Bruni, uno studioso di letteratura, ha detto:

Alla storica libreria Edison di Firenze che sta per chiudere hanno messo su tutti i libri la riduzione del 30%, sconto certo vantaggioso ma non enorme. Risultato: affollamento incredibile e code inenarrabili per accaparrarsi i volumi. Eppoi dicono che la gente non legge..sì, appunto, non legge.

Entrando, io ho subito sentito un senso di disagio, e non per la folla, ma per le pile di libri sui banconi che si erano paurosamente abbassate e i molti vuoti sugli scaffali – e dire che la svendita era cominciata solo poche ore prima. Non vi ho badato più di tanto e con istinto predatore sono andato a impossessarmi di quei libri che già sapevo di voler acquistare. In fila per pagare ho cominciato a guardarmi intorno, a fissare i volti delle persone accanto a me, e ho notato che non c’era soddisfazione su di essi: nessuno era contento per aver preso dei libri a prezzo ribassato. Quello che aleggiava era quasi un senso di apocalisse, come se la Edison fosse l’ultima libreria del mondo, e quelli intorno a noi gli ultimi libri.

Ma forse, senza esagerare, ci sentivamo – io e quelli col viso rabbuiato – come devono essersi sentiti i nostri nonni quando facevano la fila per il pane e il burro con la tessera annonaria, durante la guerra.

Arrivato a casa ho aperto il computer e ho visto il commento di Raoul; ha ragione quando dice che il 30% non è poi questo sconto così enorme; ma allora perché questo affollamento?

Di sicuro la leva del prezzo – in questi tempi di magra – incide tantissimo sulle scelte dei consumatori/lettori. Certamente molti – me compreso – hanno pensato bene di dare sfogo al proprio feticismo per la carta, di assecondare la propria compulsione collezionista. Tutto questo però non spiega quella tristezza diffusa, palpabile, evidentissima di chi si aggirava tra gli scaffali a cercare titoli come si scorre la lista delle vittime di una strage alla ricerca del nome di un proprio congiunto.

Forse quella tristezza proviene dal non poter più permettersi di comprare libri come prima. I soldi sono pochi e le priorità altre (per di più ci si mette anche la legge Levi). Forse quella tristezza nasce dalla consapevolezza che la cultura ormai è diventata un bene di lusso. In una città, peraltro, dove ormai restano solo due grandi librerie (una Feltrinelli e una Melbook – che ora però si chiama IBS – del gruppo Giunti & Messaggerie) e questo, per una città che da sempre si vanta di aver dato i natali alla lingua italiana, è una vergogna.

La vicenda della Edison – soprattutto la parte che riguarda il suo futuro, così fortemente influenzato dall’attivismo di un sindaco che sogna una città rinascimentale che assomigli sempre di più alla 5th Avenue – s’inserisce in un duplice contesto secondo me: da una parte la congiuntura politica, in cui le politiche culturali e sociali della città rispondono a un modello che disgrega il tessuto sociale; con un Renzi occupato a fare campagna elettorale e a credere che l’innovazione consista nel sostituire le bancarelle di souvenir con i negozi di gadgets, e con Palazzo Vecchio (il vicesindaco Nardella in primis, con la sua retorica d’accatto, facilmente smentita dalle cronache) a temporeggiare attivamente, se mi si passa il paradosso. Dall’altra parte c’è la riflessione su come le tecnologie digitali possano porre un argine alla “luxurization” della cultura, contribuendo a diffondere contenuti a prezzi accessibili e garantendo una libera fruizione (su questo, perlatro, discuterò domani all’Internet Festival di Pisa).

Ora come ora, resta il fatto che Firenze perde l’ennesima libreria. E a prescindere dalle cause, questa è sempre, comunque, un’oscena mutilazione.